La Val d’Algone e le antiche vetrerie

Storie di territori

La storia del Trentino è una storia forestale. Segherie, vetrerie, miniere, toponomastica: sono dappertutto i segni del rapporto tra uomini e boschi. Un rapporto iniziato ai tempi in cui dalle foreste si ricavava tutto quel che era necessario per sopravvivere, un rapporto che prosegue ancora oggi.

 

Al visitatore che per la prima volta vi faccia ingresso, attraverso l’angusta strada che si allarga gradualmente tra faggi e abeti, la Val d’Algone si offre come una incisione verde e rigogliosa che conduce al cuore delle Dolomiti di Brenta. Si tratta di una delle valli più suggestive, incontaminate e forse meno conosciute del Parco Naturale Adamello Brenta, la cui straordinaria biodiversità è testimoniata anche dal triplo riconoscimento UNESCO: Patrimonio dell’Umanità, Geopark e Riserva della Biosfera.

 

Ma non è sempre stato così

Ci furono giorni in cui i boscosi versanti della valle, oggi così lussureggianti, affrontarono gli inverni spogli, depredati da ogni copertura. Le vaste faggete di fondovalle, il suolo ricco di quarzo e il turbolento scorrere del rio Algone, affluente di sinistra della Sarca, attirarono alla fine del Settecento quello che fu il primo insediamento industriale delle Giudicarie: una fabbrica di lastre di vetro che per anni fu l’unica del suo genere in tutto il Tirolo.

Per poter costruire una vetreria, in quei tempi, erano necessari alcuni presupposti. Il fattore di base era la presenza di cave di quarzo, che non mancavano in Val Rendena (il materiale siliceo per la vetreria della Val d’Algone proveniva da una cava sopra Massimeno), ma una condizione essenziale era anche la disponibilità di grandi quantità di legna per garantire un sufficiente rifornimento di combustibile ai voraci forni degli stabilimenti. L’ultimo “ingrediente” era l’energia dei torrenti, motore dei mulini il cui lento ruotare alimentava il moto della macina: questa, girando lentamente, frantumava il quarzo trasformandolo nella polvere preziosa che, all’interno delle grandi fornaci a fusione, sarebbe diventata vetro.

Furono dunque i vetrai a iniziare il disboscamento, concesso loro dai comuni proprietari della Valle, ben contenti di cedere i diritti di taglio di grandi superfici boschive scarsamente sfruttate dai censiti in quanto lontane dai paesi. Con la costruzione di una strada di collegamento a fondovalle e l’ulteriore sfruttamento del bosco da parte dei carbonai delle ferriere bresciane, la spoliazione fu completata: alla fine dell’Ottocento ben poco rimaneva delle estese foreste che pochi decenni prima erano state giudicate inesauribili e la vetreria della Val d’Algone dovette chiudere. Il disboscamento intensivo e incontrollato aveva portato al competo depauperamento di una risorsa naturale di fondamentale importanza.

 

“Vedrete che i vostri figli mi ringrazieranno”

Nei primi anni del Novecento toccò ad un imperial regio commissario forestale, Orazio Ghedina da Cortina d’Ampezzo, riportare la foresta in Val d’Algone. Riadattato alla meglio quel che restava della vetreria dismessa, l’intraprendente ladino allestì un vivaio poco a monte della propria abitazione per coltivarvi le piantine di conifere da reimpianto e, già a partire dall’anno successivo al suo arrivo, coordinò una squadra di operai forestali per la messa a dimora delle essenze. Nonostante le aspre contestazioni alle sue disposizioni – in primis al divieto di libero pascolo alle capre, che avrebbe reso vana la piantumazione – Orazio Ghedina tenne duro e, in qualche tempo, la sua filosofia venne accettata dai locali.

“Vedrete che i vostri figli mi ringrazieranno”, pare che dicesse spesso Ghedina mentre il rimboschimento procedeva secondo i piani e il vivaio si ingrandiva, dando lavoro ad una decina di operai e contribuendo alla riforestazione di tutte le Giudicarie Esteriori. Oggi basta entrare in Val d’Algone, spingendosi fino a dove la valle si apre un poco rivelando ampi pascoli circondati da fitti boschi, per capire che il caparbio ingegnere forestale aveva ragione. Di questa vicenda, fatta di storia e natura, restano il rifugio che porta il suo nome, costruito nel 1946 sulle spoglie degli edifici al servizio della vetreria, la ciminiera della vecchia fabbrica e un percorso didattico ad anello – Il Sentiero dell’antica vetreria – ideato per scoprire la Valle attraverso le testimonianze lasciate dalla presenza dell’uomo nel passato. Ma resta soprattutto l’evidenza che l’uomo, quando vuole, è in grado di correggere i propri errori e ristabilire un patto con l’ambiente.

 

Scopri il Sentiero dell’Antica Vetreria nel cuore del Parco Adamello Brenta