La corrente del commercio in Valsugana

Storie di territori
La storia del Trentino è una storia forestale. Segherie, vetrerie, miniere, toponomastica: sono dappertutto i segni del rapporto tra uomini e boschi. Un rapporto iniziato ai tempi in cui dalle foreste si ricavava tutto quel che era necessario per sopravvivere, un rapporto che prosegue ancora oggi.

 

La fluitazione del legname rappresentò per lungo tempo in Trentino una delle principali strategie commerciali che, lungo il corso della corrente, metteva in contatto il mondo della montagna con quello della pianura. Per il territorio della Valsugana, tuttavia, la fluitazione fu insieme fortuna e tormento.

 

La corrente dei fiumi in Valsugana

I fiumi hanno da sempre giocato un ruolo centrale nella vita dell’uomo: la civiltà conseguente all’agricoltura è fiorita lungo il loro corso, commerci e spostamenti hanno seguito la corrente e, fra questi, uno dei più importanti che si sviluppò, dal basso Medioevo fino alla Prima guerra mondiale, fu il traffico di legname. Per un carico così oneroso, infatti, il fiume rappresentava l’unica via possibile per trasportare la risorsa dalle montagne verso la pianura padana, dove la domanda di legno era sempre forte.

Quello dei mercanti di legname era un ruolo decisivo: erano il ponte di contatto fra il mondo della pianura – e del mare – e quello della montagna. Nella civiltà industriale la risorsa legno era di vitale importanza nei circuiti edili, nella produzione energetica e nell’organizzazione militare. La filiera del legno era lunga e, dalle montagne alla pianura, coinvolgeva una folta rete di attori: dai proprietari dei boschi a chi si occupava del taglio e del trasporto, alle segherie, agli ingegneri che verificavano lo stato dei fiumi e le opere necessarie a mantenerli, fino ai compratori al termine della catena. Il trasporto del legname lungo fiume veniva chiamato fluitazione e, in Trentino, era praticato lungo le acque dell’Avisio, nella zona del Primiero e in Valsugana. Qui, le caratteristiche idrologiche e geologiche del territorio diedero alla fluitazione un carattere peculiare e per diversi aspetti problematico, tant’è che forse, già dal principio, ne predissero la fine.

 

Lago di levico

 

Il commercio del legno in Valsugana

In Valsugana, la scarsa pendenza che caratterizzava la zona fra i laghi di Levico e Caldonazzo e quella del Marter rendeva difficoltosa l’agricoltura e anche la fluitazione: ecco perché si rese necessaria la creazione di un canale artificiale che collegasse la zona dei laghi al seguente corso del fiume. Con un ingente lavoro, venne altresì effettuata una vasta bonifica, permettendo a un territorio già piuttosto povero di ritrovare la propria vocazione agricola e al legno di navigare. Più a valle, all’incirca all’altezza di Borgo Valsugana, il Brenta diventava, invece, agevolmente fluitabile grazie all’apporto dai torrenti Moggio, Ceggio e dal Maso, l’unico affluente del Brenta adatto a sua volta alla fluitazione.

A differenza di altri territori, lungo il Brenta furono numerose le ditte che si fecero concorrenza per il trasporto del legno, con azioni non sempre lecite e non sempre rispettose delle regole della fluitazione, anche a scapito della salute dei fiumi stessi. Uso improprio della risorsa legno, attinta spesso non solo da riserve private ma dal bene pubblico, e manovre mal condotte intaccarono le risorse comuni portando danno al bosco e degradarono lo stato degli argini e dell’alveo fluviale, oltre a causare incidenti in cui persero la vita diversi operai. Ma, nonostante le segnalazioni relative allo stato di incuria in cui operava il commercio del legno, la situazione caotica perdurò, creando preoccupazioni e dissapori. A più riprese vennero avanzate richieste per interrompere la fluitazione, a fronte dei danni provocati e delle misure di manutenzione, sempre più necessarie ma di cui nessuno voleva accollarsi le ingenti spese. Inoltre, ogni ipotesi di sospensione preoccupava a sua volta i mercanti veneti, che vedevano in pericolo l’approvvigionamento della preziosa risorsa.

 

 

Una nuova corrente in Valsugana

A mettere fine a un conflitto che non trovava soluzione fu l’alluvione del 1882, che interessò in maniera disastrosa l’intero territorio trentino ma in special modo la Valsugana. Quell’anno, la fine dell’estate fu accompagnata da un periodo di piogge intense e da venti caldi che provocarono lo scioglimento delle nevi precoci. Fu un disastro di frane e allagamenti che sottolineò in maniera inequivocabile il grave dissesto del territorio e le conseguenze di una mala gestione aggravata dall’eccessivo sfruttamento dei boschi. L’esigenza di interventi di sistemazione dei torrenti divenne evidente, così come la necessità di un loro mantenimento nel tempo.

L’alluvione rappresentò quindi una svolta definitiva: a fronte del disastro, infatti, il territorio si riorganizzò attraverso importanti opere di rimboschimento, sistemazione di aree franose e riassesto degli alvei e degli argini di fiumi e corsi d’acqua montani. Il tempo della fluitazione era finito. La necessità di sicurezza ambientale, garantita anche da una sufficiente copertura forestale, da argini consolidati e da alvei in buono stato si era rivelata indispensabile per un territorio dalle molte fragilità come la Valsugana. Ancora più indispensabile dei benefici derivanti dal commercio, che presto riprese il suo corso ma questa volta su strade e rotaie.