Dolomiti: un racconto di clima
Abbiamo imparato a leggere nelle rocce di queste montagne la storia del clima del nostro pianeta. Abbiamo imparato da queste rocce a predire il futuro del cambiamento. Possiamo imparare come reagire ora?
Una Nave d’oro
Un via vai di scienziati, artisti, letterati, alpinisti ed esploratori provenienti da tutto il mondo animava la piazza centrale di Predazzo di una vitalità inusuale. Tutti “affamati” di Dolomiti, tutti ospiti illustri dell’hotel La Nave d’oro. Era la fine del 1800 e, se oggi queste montagne sono Patrimonio Mondiale UNESCO, lo si deve anche allo stupore e alla curiosità di Déodat de Dolomieu (1750-1801), Maria Mathilda Ogilvie Gordon (1864-1939) e i molti nomi di quella eclettica compagnia, che nel reticolo cristallino delle “pallide rocce” cercavano scienza e ispirazione. Entusiasmanti varchi spazio-temporali erano stati aperti dai progressi scientifici dell’epoca nella materia di queste rocce, che cominciavano a raccontare così la loro storia. Da allora, il mistero di queste montagne è divenuto pian piano sempre più accessibile e, ancora oggi, non ha smesso di raccontare e stupire. Se allora ad incuriosire erano la struttura delle rocce e i primi fossili che tracciavano le linee della storia evolutiva del mondo, il racconto che riusciamo a leggere oggi in queste montagne è ben più complesso: è il bollettino climatico degli ultimi 280 Milioni di anni (MA).
Da ogni fine un nuovo inizio
La storia del pianeta, raccontano le rocce, è fatta di capitoli e ogni capitolo intrappolato nella loro struttura inizia e finisce con un grande stravolgimento faunistico. La causa? Clamorosi eventi ambientali fra cui, naturalmente, quelli climatici. Uno di questi, uno dei più stravolgenti a cui il nostro pianeta abbia mai assistito, venne registrato dalle rocce dolomitiche di circa 251 MA fa: l’estinzione permo-triassica. A causarla fu il rapidissimo aumento di anidride carbonica rilasciata da eventi vulcanici, che stravolse il clima. Le rocce raccontano che per gli ecosistemi fu il collasso: per primi cedettero i vegetali (organismi fotosintetizzanti) e poi, di conseguenza, l’intera catena alimentare. Una reazione a valanga registrata nella roccia, non solo con i fossili. Eventi di piogge violente e prolungate sono raccontati da strati con rocce calcaree disciolte e da grandi quantità di ambra (resina fossilizzata): la risposta delle piante a piogge abbondanti è infatti l’aumento della produzione di resina. Strati con evaporiti formate dalla deposizione di sali minerali raccontano invece di climi aridi. Di temperatura e umidità parlano infine le piante fossili e i pollini: trovare pollini di betulla è ben diverso dal trovare quelli di olivo!
- Museo Geologico di Predazzo
Tracce di noi
Costruito il quadro dell’evento, le regole, raccontano le rocce, sono due e sono chiare: a uno stravolgimento climatico corrisponde uno stravolgimento biologico. Più è rapido e intenso il cambiamento, più è rapido lo stravolgimento, o l’estinzione. Negli ultimi 200 anni la concentrazione di anidride carbonica è cresciuta del 40% in più rispetto a tutti gli aumenti avvenuti negli ultimi 800.000 anni. Le evidenze dello stravolgimento, biologico e non, sono già sotto i nostri occhi, specialmente in regioni sensibili come quella alpina: rapido ritiro dei ghiacciai, aumento di eventi estremi (come Vaia), instabilità dei versanti, spostamento della vegetazione e rischio di estinzione per molti delicati endemismi. Un impatto che sarà presto evidente anche sulle attività economiche dell’uomo: rapido cambiamento richiede rapido adattamento. Come in passato, domani anche la nostra reazione allo stravolgimento in atto sarà leggibile in uno strato roccioso chiamato “Antropocene”. Abbiamo pensato a cosa vogliamo che le Dolomiti raccontino di noi?
Oggi la Nave d’Oro non esiste più: è il Museo Geologico di Predazzo ad aver ereditato il compito di ricordare i giorni in cui in Val di Fiemme si scrisse un capitolo di storia delle Dolomiti, e del mondo.