A un passo da noi: la fauna urbana
Chi ama e frequenta la natura sa che, in montagna, c’è uno spazio in cui l’incontro con gli animali è più probabile: si tratta di quella linea di confine che divide due ambienti diversi come il bosco e i prati. Gli ecologi usano un termine tecnico per definirlo – “ecotono” -, quel lembo di terra che separa due mondi.
Nel suo racconto Caprioli a maggio, contenuto nella raccolta Uomini, boschi e api, Mario Rigoni Stern descrive proprio tale ambiente, dove è più probabile osservare questi piccoli erbivori: “La prima erba che rinverdisce i solivi è un richiamo irresistibile e i caprioli raggiungono questi luoghi quando, verso sera, la zona è diventata tranquilla e i contadini e i boscaioli sono rientrati nelle case a desinare. Si avvicinano lungo i loro abituali sentieri che di solito seguono il margine del bosco” prosegue il grande scrittore dell’altopiano di Asiago. Brucano un germoglio qua e là dai cespugli che sono ancora nudi; ascoltano, annusano l’aria. Prima di uscire definitivamente all’aperto si soffermano ancora qualche minuto ed esplorano tutt’intorno, più con l’odorato e l’udito che con gli occhi.”
In Trentino, il 63% del territorio è coperto da boschi di varia natura, formati principalmente da abete rosso, faggio, larice e abete bianco. Intorno a queste zone corre una lunga frontiera che separa questi spazi naturali, in cui gli animali selvatici sono la maggioranza, dalle città e dai paesi abitati dall’uomo: un confine che però sempre più spesso si sta trasformando in un elemento di connessione tra i due mondi dato che la barriera tra selvaggio e urbano è diventata sempre più permeabile. I motivi alla base di questo fenomeno sono molti e affondano le proprie radici negli anni ’50 del Novecento, quando una crescente industrializzazione ha trasformato il mercato del lavoro, attirando verso la città sempre più persone, a scapito della montagna, che si è via via spopolata. Come conseguenza, quegli spazi descritti nel racconto di Mario Rigoni Stern si sono perduti, riconquistati dal bosco che, anno dopo anno, si è avvicinato ai centri abitati e con esso tutto ciò che, all’interno del bosco, vive.
I vantaggi della vita in città
Oggi, nei centri montani, ma anche in numerose grandi città, è sempre più frequente osservare un tipo di fauna che si era abituati a considerare stretta pertinenza della foresta o, comunque, delle aree selvagge. Ma perché un animale dovrebbe abbandonare il bosco per stabilirsi o transitare in città? Quali vantaggi arreca questa scelta?
Quando si parla di fauna urbanizzata si fa riferimento ad animali diversi tra loro e, spesso, appartenenti a gruppi diversi, ma con alcune caratteristiche in comune: sono specie generaliste, opportuniste e dotate di ampia plasticità ecologica. Tutto ciò significa che i neocittadini animali sono specie in grado di sfruttare le numerose e variegate risorse alimentari che il territorio urbano offre, in particolare quella enorme massa di rifiuti che si accumula in cassonetti e discariche. Un animale specializzato nel cibarsi di un solo alimento non avrebbe molte possibilità di sopravvivenza e riproduzione in città, dove il cibo è sì molto, ma vario, oltre che, spesso, di qualità scadente per le necessità nutritive di un animale. Basta fare un rapido elenco delle specie meglio adattate alla città per comprendere come siano tutte di bocca molto buona: ratti, volpi, cinghiali, cornacchie sono animali capaci di nutrirsi di carne, pesce, cereali e scarti vari. La città, per loro, è un autentico fast food a cielo aperto, e pure gratis.
Altri vantaggi, per le specie che si spingono in città, sono garantiti da fattori come l’abbondante presenza di rifugi e ripari di varia natura, dove fare il nido o la tana e riprodursi in tranquillità, ma anche l’assenza o, comunque, il minor numero di predatori e, infine, lo sfruttamento di un fenomeno tutto cittadino qual è la cosiddetta “isola di calore”. In città, infatti, a causa dell’abbondante presenza di asfalto, di automobili e case riscaldate, la temperatura media è anche di diversi gradi superiore alla campagna o al bosco, delineando un ambiente ben più confortevole.
Il rovescio della medaglia
A fronte di tutto ciò, però, il vivere in città ha un prezzo per i suoi abitanti animali, talvolta anche molto alto. Come accennato sopra, è vero che il cibo è molto, ma è anche scadente. Inoltre, la continua presenza di luci artificiali può incidere, e non poco, sul comportamento delle singole specie, fino ad arrivare, addirittura, a sconvolgere i ritmi circadiani degli animali, che da notturni posso diventare più diurni e viceversa. Anche trovare un partner non è sempre semplice: la città, infatti, tende a creare numerose divisioni territoriali, aree tra loro isolate e non connesse le une con le altre. Tutto ciò comporta minori occasioni di incontro con possibili partner, riducendo la variabilità genetica all’interno di una singola specie, con tutti i problemi che questo può creare. Infine, se è vero che vi sono meno predatori, è altrettanto evidente come sia abbondante la presenza del predatore per eccellenza: l’uomo.
È per tutti questi motivi che la città non è un ambiente per tutti. È da questo bilanciamento tra vantaggi e svantaggi, pro e contro, che alcune specie proliferano in città e altre no. L’ambiente cittadino è così particolare e riesce a incidere così in profondità sulle specie che lo abitano da essere diventato sempre più oggetto di studio da parte dei biologi, che ne hanno evidenziato il suo essere un severo fattore di selezione naturale. E se la coesistenza con le altre specie è l’obiettivo finale, la cosa migliore che ognuno di noi può fare è evitare le occasioni di scontro, per esempio conferendo bene i rifiuti alimentari, non dando da mangiare ai selvatici e riducendo le interazioni volontarie con essi. Insomma, una città più pulita e ordinata è alla base di una sana convivenza, sempre.