Crisi e opportunità: Vaia tra simbolo e cultura del paesaggio
Riflessione ‘paesaggistica’ su Vaia: luci e ombre di un evento che in poche ore ha stravolto un territorio. Intervista a Giorgio Tecilla, responsabile dell’Osservatorio del paesaggio trentino.
In Trentino il bosco rappresenta uno dei connotati più marcati e caratteristici del territorio. Ha avuto un’evoluzione a fasi alterne che l’hanno visto rifugio generatore di risorse e vita, economia e sussistenza fino quasi al suo totale esaurimento, luogo di ricreazione, risorsa per la conservazione.
In che fase siamo ora? Cosa rappresenta il bosco per il paesaggio trentino oggi?
Con Vaia siamo entrati in una fase di crisi di un assetto paesaggistico relativamente recente che, a partire dalla fine dell’800, si è concretizzato nell’espansione spinta del bosco, avvenuta principalmente a causa dell’abbandono dell’agricoltura e della zootecnia di montagna. L’immagine, se vogliamo un po’ stereotipata, del paesaggio alpino è quella di uno spazio segnato dall’alternanza tra bosco e aree aperte destinate allo sfalcio e al pascolo.
Questo paesaggio in molte aree alpine, soprattutto a sud delle Alpi, è sempre più raro. In Trentino dal ‘73 ad oggi le superfici a bosco sono aumentate di quasi 23.000 ettari, ma il fenomeno dell’abbandono dell’agricoltura di montagna si è avviato già alla fine dell’800, con una perdita di superfici coltivate o destinate alla zootecnia stimata in circa 100.000 ettari.
In questa prospettiva dobbiamo assumere un punto di vista consapevole della valenza complessa e contraddittoria del bosco.
Il bosco è risorsa ecologica in quanto habitat per molte specie, è serbatoio di CO2, è un fattore importante di protezione dagli eventi di natura idrogeologica ma nella sua espansione è anche segno di una polarizzazione del rapporto tra insediamenti umani e natura.
Un bosco così esteso rende tuttavia il paesaggio più monotono, ci priva di vedute e rende i luoghi più ostili, meno umanizzati. Non a caso le favole, nelle loro componenti più misteriose e terrorizzanti, sono ambientate nei boschi. La diffusione estrema del bosco fino al limite dei paesi ha messo molti insediamenti di montagna in una condizione di “stato di assedio” resa ancora più acuta, nella percezione dei residenti, dalla diffusione dei grandi predatori come orsi e lupi. Il bosco è uno spazio complesso dalla valenza contraddittoria.
Essendo elemento così fondamentale del paesaggio, il bosco è necessariamente uno dei componenti fondanti dell’identità della gente di questo territorio. Il danno di Vaia è stato quindi ben più profondo della sola economia e più intimo, quasi un attentato all’identità stessa. Cosa significa veder trasfigurato il proprio paesaggio in maniera così repentina e radicale?
Mentre i cambiamenti radicali che hanno portato all’espansione del bosco si sono concretizzati in modo progressivo nell’arco di un secolo. Vaia in poche ore ha cancellato 20.000 ettari di bosco generando in molti luoghi paesaggi quasi apocalittici. L’azione di Vaia ha seguito le regole di un evento meteorologico estremo in un contesto orografico complesso, regole fisiche precise ma che al nostro occhio hanno assunto il carattere caotico e ansiogeno di un evento al di fuori del dominio umano. Tutto questo ha generato un trauma legato ad un cambiamento repentino e imprevisto del nostro rapporto funzionale ed affettivo con i luoghi, ma ci ha anche rappresentato in modo evidente la nostra vulnerabilità nei confronti della natura. Se a questo aggiungiamo il senso di colpa che caratterizza in questi anni il nostro rapporto con la natura possiamo capire quale sia stato l’impatto emotivo di Vaia.
L’aspetto e la composizione di molti dei boschi di questo territorio sono stati modellati nel tempo dall’uomo, che anche attraverso pratiche partecipate e condivise ne ha gestito e tutelato il mantenimento. Vaia ha stravolto il concetto di gestione rendendolo più fragile. Cosa ci ha insegnato? Quale messaggio ha lasciato sul territorio e sull’idea di gestione?
Gli insegnamenti che possiamo trarre o che dovremmo trarre da un fenomeno drammatico come Vaia sono molti e, a mio parere, sono centrati sulla presa di coscienza della complessità e della precarietà degli equilibri fortemente dinamici che caratterizzano l’assetto dei paesaggi. Dal mio punto di vista Vaia ci aiuta a capire che le situazioni complesse vanno affrontate con approcci culturali articolati e non ideologici: il paesaggio non è infatti la rappresentazione fisica di un rapporto di carattere etico tra bene e male. L’approccio ai temi del paesaggio deve essere quindi pragmatico e le risposte devono essere adeguate alla natura specifica dei luoghi di cui ci occupiamo. Non credo che la risposta al drammatico impatto di Vaia debba essere semplicisticamente una corsa forsennata al rimboschimento.
Ci sono luoghi in cui dobbiamo rimboschire con urgenza e, primi tra tutti, quelli dove il bosco svolge un ruolo di protezione dagli eventi di natura idrogeologica. Ci sono luoghi dove Vaia consentirà nel tempo l’affermazione spontanea di associazioni vegetali più varie ed ecologicamente ricche. Ci sono, infine, luoghi dove la scomparsa del bosco ci potrà consentire la ricostruzione di un migliore equilibrio paesaggistico tra pieni e vuoti, tra bosco e territorio aperto, restituendoci spazi più ospitali e vedute.
Peggio di Vaia sta forse facendo il bostrico che ne è conseguito. Come cambierà l’aspetto del bosco nel prossimo futuro e cosa, secondo lei, DEVE cambiare rispetto all’esperienza passata?
Gli effetti preoccupanti del bostrico li vediamo già. Non dobbiamo dimenticare che i nostri boschi, al di là di quello che molti credono, non sono spazi naturali ma spazi coltivati, pur se ad alto indice di naturalità e dal grande valore ecologico. In Trentino abbiamo una tradizione formidabile di cura del bosco garantita da strutture principalmente pubbliche, in primis il Servizio Foreste della Provincia, che esercitano da decenni un’azione puntuale e accorta di gestione. Vaia e l’effetto successivo del bostrico cambieranno progressivamente l’equilibrio dei nostri boschi: il personale forestale è già molto impegnato nella gestione di questa emergenza e sono certo accompagnerà questo inevitabile riassetto nel modo migliore. Detto ciò, dobbiamo accettare il cambiamento che sta avvenendo e che sicuramente inciderà ulteriormente su assetti economici e produttivi, ecosistemi e forme del paesaggio.
A livello simbolico il bosco ha innumerevoli significati, è in relazione con il bene e con l’oscurità e rappresenta addirittura il percorso che trasforma il ragazzo in adulto. Qual è il simbolo più importante che il bosco rappresenta per lei?
L’aspetto simbolico è troppo spesso dimenticato in una cultura come la nostra, molto attenta agli aspetti quantitativi misurabili e troppo poco a quelli affettivi e simbolici. La valenza simbolica del bosco è portentosa. In questo però dobbiamo assumere punti di vista diversi e la differenza principale è quella che riconduciamo allo sguardo di chi abita il territorio o di chi lo visita per un breve periodo. In altri termini, la valenza simbolica del bosco cambia se letta con la lente della cultura del ‘montanaro’ o del cittadino.
Nella tradizione il bosco è il luogo del mistero. È un luogo che ci espone al pericolo. Un pericolo avvertito a livello fisico, legato alla presenza di predatori e alla facilità con cui in un bosco si può perdere l’orientamento, ma anche a un’insicurezza di carattere più profondo, al punto da far attribuire al bosco il ruolo di metafora del percorso della vita con le sue insidie.
Queste valenze del bosco, così articolate e profonde, ci impongono di considerare il tema con serietà e di fuggire dalle semplificazioni ideologiche e dalle banalizzazioni che spesso con disinvoltura assumiamo quando affrontiamo la complessità del paesaggio nella sua valenza di rappresentazione del nostro rapporto con i luoghi e con la natura.